Del vedere e del sentire
di HANS BODEN
2024
Paracchini si distingue, nel panorama dell’arte contemporanea, per il suo approccio personale alla pittura, svincolato da mode e tendenze. La sua ricerca si concentra sulla semplicità e sulla spiritualità, esplorando nuovi rapporti tra spazio, forma e colore che trascendono le convenzioni, spingendosi verso una dimensione di meditazione e introspezione che si spalanca al mistero della vita.
Riccardo Paracchini è un artista di tutto rispetto nella storia dell’arte. La sua opera persegue da sempre la ricerca della relazione. La relazione tra il cielo e la terra: nella sua pittura – come nella sua produzione letteraria – è innegabile, vi è una forte attrazione verso il mistero cristiano, ovvero il rapporto con ciò che attiene alla nostra esistenza.
La sua pittura è un corpo nel corpo. Per capirci con un’immagine visiva, è una Porziuncola. È una pittura che si fa storia, che recupera e fa memoria del suo passato, ma immersa nel presente dei colori e delle forme. La sua pittura non è mai un atto nostalgico, ma un atto critico che vive nella purezza, nell’astrazione assoluta del concetto, nell’asetticità dei colori e delle forme. È un luogo fatto di simboli pulsanti e vibranti di vita. La sua è un’umile testimonianza di genialità artistica.
Per comprendere al meglio tutta la produzione artistica di Riccardo Paracchini è bene analizzare il suo procedere, che si può raggruppare in quattro grandi sezioni.
Il suo primo studio fu (nel decennio 1980-1990) il nudo femminile. Una produzione intensa con migliaia di disegni e dipinti. La progressiva sintesi ed astrazione lo condussero verso il simbolo stesso di quel “corpo”, sfociando nel progetto sul colore “Rosso”, analisi che durò circa 10 anni: interventi su piccole e grandi superfici, ambienti aperti e chiusi, con il colore che tocca e “segna” ogni elemento del vivere, per giungere fino al monocromo “Rosso” totale ed assoluto.
Il progetto “Rosso” è il primo dei grandi temi, o periodi, affrontati dalla sua ricerca.
Stoffe, carte da parati, lenzuola, soggetti floreali o vegetali. Interventi ambientali, installazioni. In quel periodo l’artista opera recuperando gli elementi preesistenti nella realtà per segnarli e modificarli attraverso la “cifra” semantica del colore rosso. Con la pittura – e mi preme sottolineare la pittura – rossa vengono ridipinti i fiori, i frutti, vengono segnati gli spazi, le superfici, i luoghi. Attraverso il gesto della pittura, alla realtà delle cose si contrappone una realtà altra, più alta, che eleva l’oggetto ad arte, a contemplazione.
La scelta del colore rosso è fondamentale: si rifà alla necessità di avere una sostanza che non sia di per sé descrittiva, ma segno e simbolo, quindi valore, come lo sono il gesto dell’artista che fa e rifà.
Fondamentale è il prelievo delle stoffe, delle carte da parati, degli elementi della quotidianità, dal già esserci, evitando la necessità di creare l’immagine, lasciando l’opera al livello di analisi concettuale.
L’artista porta l’attenzione sul processo del vedere le cose, per superare il reale e giungere all’essenza della visione dell’arte.
Di questo periodo sono anche alcuni lavori di videoarte (la mano che pianta-semina delle margherite in un prato, il fermo immagine di una modella in “Io guardavo e non capivo, probabilmente il volto della Madonna”); le carte del pane su cui registra le impronte lasciate dalla cottura delle pagnotte; interventi minimali con aghi e fili rossi, appesi sui muri, che rilevano gli spostamenti d’aria delle persone.
Farà seguito una pausa di silenzio e di scrittura. La composizione dei racconti “Il Piccolo Fiore” (una lunga epopea portata alle stampe dopo vent’anni dal suo inizio, nel 2020) condurrà l’artista allo sviluppo naturale del progetto “Storia sulla pittura”, caratterizzato dalla predominanza del colore blu (ed il rosa in alcune opere). Siamo dunque sul finire degli anni Novanta inizio Duemila: entriamo nel periodo “Blu” e “Rosa”.
“Storia sulla pittura” si rifà alla poesia ed alla letteratura del Duecento, Trecento. Come lì, la pittura è un’allegoria, la veste esteriore di un discorso logico, un’esortazione morale da cui trarre insegnamento. Le pitture vengono realizzate su immagini prelevate dai mass media: pubblicità, servizi di moda o di cronaca. Viene riutilizzata la contemporaneità stessa, per essere rivestita di un significato più alto, non transitorio com’è il periodico, la carta stampata. L’artista interviene sulla realtà per trarne un insegnamento morale e spirituale. Le figure di femminili vengono infatti “vestite” attraverso l’agire dell’artista dalla pittura, con una nuova “veste”, con una nuova “vita”. Da oggetto vengono trasformate in soggetto.
Proprio per comunicare al meglio questo concetto sono utilizzati, come da tradizione nell’artista, esclusivamente temi ispirati alla spiritualità mistica. Sono storie di Maria, Annunciazioni, Avventi, Angeli. I soggetti sono e devono essere il segno della pienezza.
Scrive Luciana Rappo in un suo testo: “Il blu è denso, magmatico, mistico. La pittura, qui, è un luogo, vi si incontrano presenze e assenze, lo spazio dell’opera è un respiro continuo in cui la figura e lo sfondo, la pennellata e l’immagine seriale ricercano e trovano il loro equilibrio. Il luogo fisico nello spazio dell’opera è anche il luogo mentale in cui sono calate le figure: sulle tavole su cui viene incollata la carta appaiono dunque frammenti di storie di Maria Vergine e di Angeli, di Avventi e fughe in Egitto, le figure diventano icone e la storia personale una storia collettiva. Queste figure sono anche tracce di tempo e di tempo passato parlano i colori impiegati per gli sfondi, i blu e i rosa usati come i fondi oro della pittura del ’2-’300; le figure stesse in parte frammentarie, nel loro affiorare alla luce come se fossero state scoperte sotto strati di intonaco, sono ieratiche e geometriche, emanano primitività e purezza al tempo stesso e ricordano i personaggi femminili (la figura è sempre femminile nelle opere di Paracchini) cantati nella lirica provenzale e nei sonetti dei primitivi poeti italiani. Ma nel contagio tra i linguaggi espressivi, nel modificarsi delle immagini con interventi minimali che seguono un preciso piano intellettuale, nella contemporaneità di presenza-assenza, passato-presente, luogo fisico-luogo mentale, si avverte che qualsiasi rimando a passati culturali è confluito in queste opere e si è trasfigurato. L’arte, la pittura in questo caso, deve continuamente ricercare un proprio senso, incessantemente messa a confronto con immagini seriali, elettroniche, virtuali, fortissime, che stanno nel profondo del nostro inconscio collettivo come scenari delle nostre emozioni”.
Prelevare e modificare l’oggetto della realtà con la pittura. L’idea dell’Angelo o della Madonna sono già in noi.
Attraverso l’intervento dell’artista il corpo delle figure stampate viene “ri-vestito” di bianco. Il fondale viene coperto con una pittura blu (il rosa fu introdotto successivamente) che, come nei fondi degli affreschi antichi, sostituiva l’oro. Paracchini li chiama «blu giottesco, rosa giottesco». È l’immersione nell’ideale trascendente. L’immagine stampata, retinata, diventa efficace rappresentazione pittorica. La testa viene annullata per sottolineare l’essenza dell’operazione artistica: non si tratta di un ritratto ma, e questo è ragguardevole, di una operazione concettuale.
Tutti i lavori sono “Senza titolo”. Spesso per semplificarne la catalogazione viene assegnato all’opera un sottotitolo. I dipinti sono realizzati su stampe, tavole di legno o tela. La presenza dell’Angelo è costante in quanto ci aiuta a proiettarci in un’altra dimensione.
La produzione si fa intensa, inizia a lavorare contemporaneamente al progetto sui “Fiori”, sempre caratterizzato da campiture blu o rosa.
Dopo quelli che vengono denominati nell’ambiente artistico il “Rosso Paracchini”, il “Blu Paracchini”, il “Rosa Paracchini”, l’artista affronta un’altra lunga pausa di riflessione e silenzio.
Da questa attesa nascerà il grande progetto che denominerà in modo sintetico “Nuovo umanesimo”. È il 2015.
Il punto di partenza è sempre l’immagine fotografica, il reale, lo scarto della società. Ma a differenza del “periodo blu” (“Storia sulla pittura”) ora la pittura si piega alla necessità del racconto, alla narrazione inserita nella Storia. Il colore non è più semplicemente il colore, ma diventa forma, costruzione, attraverso il fare del pittore, per dare risalto alle necessità della rappresentazione, ovvero dell’esserci. È come se ora l’arte riprendesse vita: si ritorna alla riscoperta della nostra Storia in Dio. L’artista ridiventa libero perché non più succube di ciò che gli è stato costruito attorno; l’artista ridiventa libero perché nell’umiltà segue ciò che deve compiere secondo il progetto di Dio.
Mentre nei lavori “blu” la pittura lasciava intravedere la struttura fotografica, ora il gesto dell’artista si appropria del tutto, dell’Uomo nella sua interezza. Attraverso la pittura l’immagine assume una nuova forma, viene corretta, gli viene ridata una nuova vita, un volto.
La veste è sempre bianca, lo spettro dei colori si allarga, emergono nuove tinte che danno risalto alla storia dell’Uomo, alla storia dell’arte. Per la prima volta nei suoi lavori compaiono i verdi, i gialli, i marroni.
Lo spirituale è sempre il centro della ricerca paracchiniana, ma in questo caso ricordano all’Uomo il suo legame con Dio e con la Parola (Es 36,1: “Tutti gli artisti che il Signore aveva dotati di saggezza e d’intelligenza, perché fossero in grado di eseguire i lavori della costruzione del santuario, fecero ogni cosa secondo ciò che il Signore aveva ordinato”).
Il progetto “Nuovo umanesimo” si sviluppa ancora una volta, come afferma l’artista stesso «dal desiderio di svincolarsi dalla chiusura e dal nichilismo in cui si trova l’arte contemporanea, che avendo perso di vista il suo obiettivo principale, la sua meta, ha condotto l’Uomo in vicolo cieco. L’arte e gli artisti stanno vivendo come zombie in preda al loro passato, di un’arte che vuole essere esclusivamente arte senza un rapporto vero con Dio e con l’Uomo». Constatato il degrado e l’impasse in cui è venuta a trovarsi l’arte contemporanea, ormai incapace di offrire valori e risposte (in quanto schiava di sé stessa, delle ideologie e del proprio potere babelico), ecco che l’artista sceglie di rimettersi in campo, e di porre la pittura al servizio dell’Uomo. È una sfida alla consuetudine, come le precedenti affrontate negli anni passati. Si tratta di un lavoro sociale, nato dall’emergenza in cui l’umanità si trova, accerchiata da forme di antiumanesimo e di Anticristo sempre più agguerrite e feroci. Il racconto della pittura è dunque innestato nella Storia di Dio: l’uomo diventa attraverso il suo rapporto con Dio, artefice del cambiamento.
I volti, che prima erano come assenti, nascosti sotto il velo della pittura, assumono ora il loro valore, sottolineano la relazione con l’altro. Il volto è anche la forma che Dio ha voluto scegliere – nel Cristo – per farsi riconoscere dagli uomini.
Olivier Clément scrive che “Il cristianesimo è la religione dei volti”: quello visibile di Cristo nel quale si riflette quello invisibile del Padre (cfr. Col. 1,15), quello dei santi in cui, con maggior evidenza, risplende il volto e l’immagine di Cristo (cfr. 2 Cor. 3,18). Nei santi “Dio manifesta agli uomini in una viva luce la sua presenza e il suo volto” (Lumen gentium, n. 50). Anche per noi vale l’invito dei primi cristiani: “Cercherai, poi, ogni giorno la presenza dei santi, per trovare riposo nelle loro parole” (Didaché, IV,2).
Paracchini parte sempre dall’ascolto del suo vissuto: questa è una strada capace di riconoscere la bellezza dell’umano nel suo essere, pur senza ignorarne i limiti. Anzi, è un umanesimo consapevole delle proprie debolezze e fragilità, esplicato nelle forme e nei colori a volte imperfetti.
Anziché la grandiosità rigida e astratta di certa pittura contemporanea, la quale si impone allo spettatore con il ricatto dell’assenza, Paracchini ci offre delle figure che chiaramente manifestano la propria “essenza”: donne e uomini, angeli, vivi, con i quali si può entrare in rapporto, o rimanerne distaccati, e nei quali l’autore concreta i propri sentimenti etici. Riccardo non è un sognatore, ma un artista della realtà. Lirico, ma osservatore. Un artista che comunica in modo espressivo e chiaro e semplice.
Riccardo Paracchini preserva la forza ideale del passato, ma conserva in modo dirompente la sua immersione nel presente. Siamo fatti di Storia e di Anime. Armonizza idealismo e realismo. Il suo idealismo accoglie la realtà con immediatezza; il suo realismo indica la Chiesa sulla terra per raggiungere il Cielo.
Secondo Paracchini dovere dell’artista è quello di trasformare il mondo in bellezza ed armonia in modo imperfetto, e il fine dell’arte è evocare ciò che è invisibile, ciò che comunemente l’uomo nella sua pochezza non riesce più a scorgere. Come diceva Hermann Hesse «arte è dentro ogni cosa mostrare Dio». L’artista è dunque colui che partecipa alla Creazione, e la pittura è quella porta che ci introduce nell’assoluto.
Senza dubbio Riccardo Paracchini non è un illustratore a cui ascrivere la “bravura” nel dipingere; a lui va il coraggio di aver cercato di rinnovare l’arte del suo tempo riportandone i contenuti a delle concezioni che ormai parevano sopite. Utilizza il figurativo, ma scarta il figurativo.
Paracchini ritorna alle origini. Scarto e segno. Ogni forma dipinta è una personale visione dell’essenza altrimenti invisibile delle cose e della realtà.
I riferimenti alla natura presenti nelle opere sono fatti di memoria, espressa attraverso il linguaggio di una ritrovata innocenza concepita con elementi semplici.
La semplicità è un termine importante nella sua ricerca. In Paracchini i soggetti dipinti sono protagonisti della scena, in modo unico. Non vi è ostentazione o ricatto materico. I suoi angeli occupano un ruolo storico, centrale. La semplicità e la naturalezza delle rappresentazioni incantano l’osservatore. Gli angeli stessi appaiono come ‘uomini’ in mezzo agli uomini, dotati di una nitida piatta-volumetria: conquistano lo spazio circostante e lo animano con le loro ali bianche, con le loro vesti bianche. L’artista crea una comunicazione che varca i confini della rappresentazione e giunge fino a noi che ne siamo spettatori.
La ripetizione è fondamentale. Perché questa ripetizione? Cosa rappresenta? È semplicemente la straordinarietà nell’ordinario. Che lo straordinario può e deve abitare l’ordinario della nostra vita. Ogni angelo è simile all’altro nel corpo come nella posa, nell’assoluto del blu o dell’azzurro cielizzato. È lì che l’uomo è chiamato ad abitare.
La palette cromatica nel nostro artista – come abbiamo visto in questo excursus – è ridotta da sempre all’essenzialità. Se negli anni Ottanta utilizzava esclusivamente bianco-rosso-nero, negli anni Novanta-Duemila sono stati eliminati del tutto il rosso-nero per introdurre il blu-rosa. Dal 2015 si aggiunge il blu-reale e vengono impiegate tinte precedentemente escluse come il verde ed il marrone (con due tonalità ciascuno), il rosa pelle, il grigio, l’oro. I suoi schemi cromatici sono nuovi, intensi, audaci. Ieri come oggi non lasciano indifferenti.
Il Blu Paracchini non è un blu qualsiasi. È un blu che evoca l’infinito, il trascendente. È un colore che nella sua apparente semplicità racchiude una complessità di significati che si dispiegano a strati, invitando lo spettatore a un’immersione profonda nel cuore dell’opera. È mare e cielo insieme.
L’utilizzo del blu nelle opere di Paracchini si può inserire in un contesto più ampio, quello della storia dell’arte. Il blu è un colore che ha affascinato numerosi artisti nel corso dei secoli, da Giotto a Yves Klein, ciascuno con una propria modalità. Le opere di Paracchini si collocano all’interno di questa tradizione, offrendo però una visione personale e originale di questa cromia. Un concetto che si può ascrivere anche al Rosso Paracchini o al Rosa Paracchini.
L’artista, pur richiamando suggestioni antiche, si presenta a noi con un linguaggio tipicamente contemporaneo, capace di dialogare con il nostro tempo: opere che sono allo stesso tempo radicate nella tradizione ma profondamente innovative. Un ponte tra passato e presente, un invito a riscoprire la bellezza e la profondità dell’arte antica, senza rinunciare alla sperimentazione e all’innovazione.
L’essenzialità della scelta dei colori e dell’uso degli stessi, fa il pari con le sue composizioni e la ripetizione dei temi. Le sue tele iconiche – piccole o di grandi dimensioni – ci accolgono in un’atmosfera rarefatta, sospesa tra il sacro e il profano, in cui le figure sono sempre isolate e silenziose: sembrano incarnare l’umanità nella sua interezza, con le sue gioie e i suoi dolori. Sono solitudine e dialogo insieme.
L’artista non si limita a citare o riprodurre forme e stilemi del passato, ma ne assorbe l’essenza, la forza espressiva, per poi rielaborarli attraverso una lente del tutto personale. Le opere sono come archetipi moderni, nei quali si riconoscono echi di maestri dell’antichità, ma riletti con gli occhi di un artista del XXI secolo.
I colori sono sempre ridotti all’essenziale, quasi mai contaminati o mescolati tra di loro (eccezion fatta per alcuni dettagli naturalistici), ed anche la pennellata cerca di annullare la matericità per unirsi al trascendente. Il colore è piatto, steso con brevi tocchi, sovrapposto più volte per annullarne lo spessore e l’immediatezza dell’istante, lasciandolo ad un livello di superficie per non cadere – come recita spesso l’artista – nel «ricatto della pittura». I pennelli utilizzati sono pochi, spesso adoperati fino all’usura, per affetto, per legame sentimentale.
In molti dipinti vi è una peculiarità: la presenza dell’errore, del ripensamento, non come fattore accidentale, ma come elemento costitutivo del processo comunicativo.
Paracchini non cerca la perfezione asettica e distante, ma abbraccia la complessità del divenire, il processo di creazione che si snoda attraverso l’atto del dipingere. L’errore, sembra dirci in questo contesto, non è un fallimento, ma un’occasione di scoperta, un momento di riflessione che genera nuovi spunti e arricchisce il linguaggio pittorico. Come la vestizione della figura attraverso il bianco è un atto “morale”, così la scelta di lasciare in evidenza l’imprecisione conduce l’osservatore di fronte ad un processo in divenire, una narrazione visiva che si sviluppa non solo in senso spaziale, ma anche temporale. L’errore diventa una traccia del percorso creativo, una testimonianza del confronto continuo dell’artista con la stampa, con la carta, con la serialità, con la tela, con il legno, la ricerca di equilibrio tra forma e colore. In conclusione, Riccardo Paracchini non si limita a dipingere, ma a mettere in scena un processo analitico di creazione, un’esperienza visiva che invita l’osservatore a partecipare al suo viaggio interiore, al cammino di ciascuno. L’“errore”, in questo contesto, diviene un elemento essenziale per la comprensione del suo linguaggio pittorico, un linguaggio che si basa sulla spontaneità, la complessità e la ricerca costante di un’armonia imperfetta, profondamente umana ma sentitamente divina. Insomma, totalmente contemporanea.
GOOGLE TRANSLATION
Of seeing and hearing
Paracchini stands out in the contemporary art scene for his personal approach to painting, free from fashions and trends. His research focuses on simplicity and spirituality, exploring new relationships between space, form and colour that transcend conventions, pushing towards a dimension of meditation and introspection that opens up to the mystery of life.
Riccardo Paracchini is a highly respected artist in the history of art. His work has always pursued the search for relationships. The relationship between heaven and earth: in his painting – as in his literary production – it is undeniable, there is a strong attraction towards the Christian mystery, or the relationship with what pertains to our existence.
His painting is a body within a body. To understand with a visual image, it is a Porziuncola. It is a painting that becomes history, that recovers and remembers its past, but immersed in the present of colors and shapes. His painting is never a nostalgic act, but a critical act that lives in purity, in the absolute abstraction of the concept, in the asepticity of colors and shapes. It is a place made of pulsating and vibrant symbols of life. His is a humble testimony of artistic genius.
To better understand all of Riccardo Paracchini’s artistic production, it is good to analyze his process, which can be grouped into four large sections.
His first study was (in the decade 1980-1990) the female nude. An intense production with thousands of drawings and paintings. The progressive synthesis and abstraction led him towards the very symbol of that “body”, resulting in the project on the color “Red”, an analysis that lasted about 10 years: interventions on small and large surfaces, open and closed environments, with the color that touches and “marks” every element of life, to arrive at the total and absolute monochrome “Red”.
The “Red” project is the first of the great themes, or periods, addressed by his research.
Fabrics, wallpapers, sheets, floral or plant subjects. Environmental interventions, installations. In that period the artist worked by recovering pre-existing elements in reality to mark and modify them through the semantic “code” of the color red. With red painting – and I want to emphasize red painting – flowers and fruits were repainted, spaces, surfaces and places were marked. Through the gesture of painting, the reality of things was contrasted by another, higher reality, which elevated the object to art, to contemplation.
The choice of the color red was fundamental: it was based on the need to have a substance that was not descriptive in itself, but a sign and symbol, therefore a value, as was the gesture of the artist who makes and remakes.
The collection of fabrics, wallpapers and elements of everyday life from what was already there was fundamental, avoiding the need to create the image, leaving the work at the level of conceptual analysis.
The artist draws attention to the process of seeing things, to overcome reality and reach the essence of the vision of art.
Also from this period are some video art works (the hand that plants-sows daisies in a meadow, the still image of a model in “Io guardavo e non capivo, probably the face of the Madonna”); the bread papers on which he records the imprints left by the baking of the loaves; minimal interventions with needles and red threads, hanging on the walls, which detect the movements of air of people.
This will be followed by a pause of silence and writing. The composition of the stories “Il Piccolo Fiore” (a long epic brought to print twenty years after its beginning, in 2020) will lead the artist to the natural development of the project “Storia sulla pittura”, characterized by the predominance of the color blue (and pink in some works). We are therefore at the end of the nineties, beginning of the twenty-first century: we enter the “Blu” and “Rosa” period.
“History on Painting” draws on the poetry and literature of the 13th and 14th centuries. As there, painting is an allegory, the external guise of a logical discourse, a moral exhortation from which to draw lessons. The paintings are made on images taken from the mass media: advertising, fashion or news reports. Contemporaneity itself is reused, to be clothed with a higher meaning, not transitory as is the periodical, the printed paper. The artist intervenes on reality to draw a moral and spiritual lesson. The female figures are in fact “dressed” through the artist’s action by painting, with a new “garment”, with a new “life”. From object they are transformed into subject.
Precisely to best communicate this concept, as per the artist’s tradition, only themes inspired by mystical spirituality are used. They are stories of Mary, Annunciations, Advents, Angels. The subjects are and must be the sign of fullness. Luciana Rappo writes in one of her texts: “Blue is dense, magmatic, mystical. Painting, here, is a place, presences and absences meet, the space of the work is a continuous breath in which the figure and the background, the brush stroke and the serial image seek and find their balance. The physical place in the space of the work is also the mental place where the figures are placed: on the boards on which the paper is glued, fragments of stories of the Virgin Mary and Angels, of Advents and escapes into Egypt appear, the figures become icons and the personal story a collective story. These figures are also traces of time and time gone by, the colors used for the backgrounds speak, the blues and pinks used as the gold backgrounds of the painting of the 13th-14th centuries; the figures themselves, partly fragmentary, in their emergence to the light as if they had been discovered under layers of plaster, are hieratic and geometric, they emanate primitiveness and purity at the same time and recall the female characters (the figure is always feminine in Paracchini’s works) sung in Provençal lyric poetry and in the sonnets of primitive Italian poets. But in the contagion between expressive languages, in the modification of images with minimal interventions that follow a precise intellectual plan, in the contemporaneity of presence-absence, past-present, physical place-mental place, one senses that any reference to cultural pasts has flowed into these works and has been transfigured. Art, painting in this case, must continually search for its own meaning, incessantly compared with serial, electronic, virtual, very strong images, which are in the depths of our collective unconscious as scenarios of our emotions”.
Taking and modifying the object of reality with painting. The idea of the Angel or the Madonna are already in us.
Through the artist’s intervention, the body of the printed figures is “re-dressed” in white. The background is covered with a blue paint (pink was introduced later) which, as in the backgrounds of ancient frescoes, replaced the gold. Paracchini calls them “Giotto blue, Giotto pink”. It is the immersion in the transcendent ideal. The printed, half-tone image becomes an effective pictorial representation. The head is cancelled to underline the essence of the artistic operation: it is not a portrait but, and this is remarkable, a conceptual operation.
All the works are “Untitled”. Often, to simplify cataloguing, a subtitle is assigned to the work. The paintings are made on prints, wooden boards or canvas. The presence of the Angel is constant as it helps us to project ourselves into another dimension.
The production becomes intense, he begins to work simultaneously on the project on the “Flowers”, always characterised by blue or pink backgrounds.
After what are called in the artistic environment the “Rosso Paracchini”, the “Blu Paracchini”, the “Rosa Paracchini”, the artist faces another long pause of reflection and silence.
From this wait the great project will be born that he will synthetically call “New Humanism”. It is 2015.
The starting point is always the photographic image, the real, the waste of society. But unlike the “blue period” (“History on painting”) now painting bends to the need for storytelling, to the narration inserted in History. Color is no longer simply color, but becomes form, construction, through the painter’s work, to highlight the needs of representation, or of being there. It is as if art now comes back to life: we return to the rediscovery of our History in God. The artist becomes free again because he is no longer a slave to what has been built around him; the artist becomes free again because in humility he follows what he must do according to God’s plan.
While in the “blue” works the painting allowed a glimpse of the photographic structure, now the artist’s gesture takes possession of everything, of Man in his entirety. Through painting the image takes on a new form, is corrected, is given a new life, a face.
The dress is always white, the spectrum of colors expands, new shades emerge that highlight the history of Man, the history of art. For the first time in his works, greens, yellows, browns appear.
The spiritual is always the center of Paracchinian research, but in this case they remind Man of his bond with God and with the Word (Exodus 36:1: “All the artists whom the Lord had endowed with wisdom and understanding, so that they could carry out the work of building the sanctuary, did everything according to what the Lord had commanded”).
The “New Humanism” project develops once again, as the artist himself states «from the desire to break free from the closure and nihilism in which contemporary art finds itself, which, having lost sight of its main objective, its goal, has led Man into a dead end. Art and artists are living like zombies in the grip of their past, of an art that wants to be exclusively art without a true relationship with God and Man». Having noted the degradation and impasse in which contemporary art has found itself, now incapable of offering values and answers (as a slave to itself, to ideologies and to its own Babel-like power), the artist chooses to get back into the field, and to place painting at the service of Man. It is a challenge to custom, like the previous ones faced in past years. It is a social work, born from the emergency in which humanity finds itself, surrounded by forms of anti-humanism and Antichrist increasingly aggressive and ferocious. The story of painting is therefore grafted onto the History of God: man becomes, through his relationship with God, the architect of change.
The faces, which were previously absent, hidden under the veil of painting, now take on their value, underlining the relationship with the other. The face is also the form that God wanted to choose – in Christ – to be recognized by men.
Olivier Clément writes that “Christianity is the religion of faces”: the visible face of Christ in which the invisible face of the Father is reflected (cf. Col. 1:15), that of the saints in which, with greater clarity, the face and image of Christ shines (cf. 2 Cor. 3:18). In the saints “God manifests to men in a living light his presence and his face” (Lumen gentium, n. 50). The invitation of the first Christians also applies to us: “You will seek, then, every day the presence of the saints, to find rest in their words” (Didaché, IV,2).
Paracchini always starts by listening to his experience: this is a path capable of recognizing the beauty of the human in his being, without ignoring his limits. Indeed, it is a humanism aware of its own weaknesses and fragilities, expressed in the sometimes imperfect forms and colors.
Instead of the rigid and abstract grandeur of certain contemporary paintings, which imposes itself on the viewer with the blackmail of absence, Paracchini offers us figures that clearly manifest their “essence”: women and men, angels, alive, with whom one can enter into a relationship, or remain detached, and in which the author concretizes his own ethical feelings. Riccardo is not a dreamer, but an artist of reality. Lyrical, but observer. An artist who communicates in an expressive and clear and simple way.
Riccardo Paracchini preserves the ideal strength of the past, but disruptively preserves his immersion in the present. We are made of History and Souls. He harmonizes idealism and realism. His idealism welcomes reality with immediacy; his realism indicates the Church on earth to reach Heaven.
According to Paracchini, the artist’s duty is to transform the world into beauty and harmony in an imperfect way, and the purpose of art is to evoke what is invisible, what man in his smallness is commonly no longer able to perceive. As Hermann Hesse said, “art is showing God inside everything.” The artist is therefore the one who participates in Creation, and painting is the door that introduces us to the absolute.
Without a doubt, Riccardo Paracchini is not an illustrator to whom we attribute the “skill” in painting; he has the courage to have tried to renew the art of his time by bringing its contents back to concepts that now seemed dormant. He uses the figurative, but discards the figurative.
Paracchini returns to the origins. Waste and sign. Each painted form is a personal vision of the otherwise invisible essence of things and reality.
The references to nature present in the works are made of memory, expressed through the language of a rediscovered innocence conceived with simple elements.
Simplicity is an important term in his research. In Paracchini, the painted subjects are the protagonists of the scene, in a unique way. There is no ostentation or material blackmail. His angels occupy a historical, central role. The simplicity and naturalness of the representations enchant the observer. The angels themselves appear as ‘men’ among men, endowed with a clear flat-volumetry: they conquer the surrounding space and animate it with their white wings, with their white robes. The artist creates a communication that crosses the boundaries of representation and reaches us, who are spectators. Repetition is fundamental. Each angel is similar to the other in the body as in the pose, in the absolute of blue or sky-blue. It is there that man is called to live. The chromatic palette in our artist – as we have seen in this excursus – has always been reduced to the essential. If in the 1980s he used exclusively white-red-black, in the 1990s and 2000s the red-black was completely eliminated to introduce blue-pink. Since 2015, royal blue has been added and previously excluded shades such as green and brown (with two shades each), skin pink, grey, gold have been used. His colour schemes are new, intense, bold. Yesterday as today they do not leave you indifferent.
Paracchini Blue is not just any blue. It is a blue that evokes the infinite, the transcendent. It is a colour that in its apparent simplicity contains a complexity of meanings that unfold in layers, inviting the viewer to a deep immersion in the heart of the work. It is sea and sky together.
The use of blue in Paracchini’s works can be placed in a broader context, that of the history of art. Blue is a colour that has fascinated numerous artists over the centuries, from Giotto to Yves Klein, each with their own modality. Paracchini’s works are placed within this tradition, but offer a personal and original vision of this color. A concept that can also be ascribed to Rosso Paracchini or Rosa Paracchini.
The artist, while recalling ancient suggestions, presents himself to us with a typically contemporary language, capable of dialoguing with our time: works that are at the same time rooted in tradition but profoundly innovative. A bridge between past and present, an invitation to rediscover the beauty and depth of ancient art, without giving up experimentation and innovation.
The essentiality of the choice of colors and their use is on par with his compositions and the repetition of themes. His iconic canvases – small or large – welcome us in a rarefied atmosphere, suspended between the sacred and the profane, in which the figures are always isolated and silent: they seem to embody humanity in its entirety, with its joys and sorrows. They are solitude and dialogue together.
The artist does not limit himself to quoting or reproducing forms and styles of the past, but absorbs their essence, their expressive force, and then reworks them through a completely personal lens. The works are like modern archetypes, in which echoes of ancient masters can be recognized, but reread with the eyes of a 21st century artist.
The colors are always reduced to the essential, almost never contaminated or mixed together (except for some naturalistic details), and even the brushstroke tries to cancel the materiality to join the transcendent. The color is flat, spread with short touches, overlapped several times to cancel the thickness and immediacy of the moment, leaving it at a surface level so as not to fall – as the artist often says – into the “blackmail of painting”. The brushes used are few, often used until they are worn out, out of affection, out of sentimental bond.
In many paintings there is a peculiarity: the presence of the error, of the second thought, not as an accidental factor, but as a constitutive element of the communicative process.
Paracchini does not seek aseptic and distant perfection, but embraces the complexity of becoming, the process of creation that unfolds through the act of painting. The error, he seems to tell us in this context, is not a failure, but an opportunity for discovery, a moment of reflection that generates new ideas and enriches the pictorial language. Just as the dressing of the figure through white is a “moral” act, so the choice to leave the imprecision in evidence leads the observer in front of an evolving process, a visual narration that develops not only in a spatial sense, but also in a temporal one. The error becomes a trace of the creative path, a testimony of the artist’s continuous confrontation with the print, with paper, with seriality, with canvas, with wood, the search for balance between form and color. In conclusion, Riccardo Paracchini does not limit himself to painting, but to staging an analytical process of creation, a visual experience that invites the observer to participate in his inner journey, in the path of each one. The “error”, in this context, becomes an essential element for the understanding of his pictorial language, a language that is based on spontaneity, complexity and the constant search for an imperfect harmony, profoundly human but heartfelt divine. In short, totally contemporary.
Il suo è un atto critico che vive nella purezza, nell’astrazione assoluta del concetto.
È un luogo fatto di simboli pulsanti e vibranti di vita.
Paracchini parte sempre dall’ascolto del suo vissuto: questa è una strada capace di riconoscere la bellezza dell’umano nel suo essere.
L’artista è colui che partecipa alla Creazione, e la pittura è quella porta che ci introduce nell’assoluto.
I soggetti dipinti sono protagonisti della scena in modo semplice ma unico.
Paracchini preserva la forza ideale del passato, ma conserva in modo dirompente la sua immersione nel presente.
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